Albert Camus, La devozione alla croce di Pedro Calderón de la Barca, a cura di Lorenzo Chiuchiù, Reggio Emilia, Diabasis, 2005,108, € 12,00.

II volume contiene la traduzione italiana di quella francese di Camus dell'opera di Calderón, preparata per una rappresentazione teatrale che avvenne nel 1953, confrontata con il testo originale. La traduttrice italiana, Gaia Chiuchiù, ha tenuto canto del criterio seguito da Camus: offrire al pubblico francese un testo scritto per attori, che si potesse cioè declamare e diventare spettacolo. Ma perché Camus si lasciò coinvolgere nella rappresentazione di quest' opera di Calderón che ebbe tardiva anche se gloriosa fortuna nell'epoca romantica? II Curatore risponde a questo interrogativo in un saggio critico che segue al testo tradotto. Egli prende lo spunto dalla breve introduzione premessa da Camus alla sua traduzione del testo di Calderón ove irrompono come lampi, luminosissimi ma rapidissimi, gli indici dell'interesse di Camus per questo lavoro, che il Curatore segnala e riprende in proprio, Camus giudica La devozione alla croce uno spettacolo popolare dal genere indecidibile, "una sorta di melodramma a metà strada tra i misteri (medievali) e il dramma romantico", carico di audacia di pensiero c di espressione per il messaggio di cui e portatore, il provocatorio "tutto è grazia", che conclude l'opera; se Calderón anticipa Bernanos, impatta con il "nulla e giusto" dei moderni, un tema familiare a Camus. Sono questi scarti vertiginosi del tutto e nulla che interessano Camus e la sua visione circolare del nesso teatro e vita umana; il tutto è grazia che compone la dismisura del male e la croce che salva, proprio dei credenti, e il rifiuto altrettanto radicale di ogni composizione da parte dei non credenti.
II Curatore prosegue la sua ricerca sulla concezione del teatro di Camus, la sua opzione per la tragedia contro il dramma, il suo restringere la tragedia a due momenti storici unici, la classica greca e quella del Seicento inglese, francese, spagnolo; la differenza tra tragedia e dramma, e cioè la contrapposizione delle maschere, nel primo caso buone e malvagie insieme, nel secondo divise tra la maschera del bene e quella del male. II tratto definitorio della tragicità per Camus e allora l'ambiguità delle maschere del primo caso, ad esempio Zeus e Prometeo, soppressa nel secondo caso. La soluzione del nodo tragico nel primo caso è "l'immobilità forsennata", la sovrana irresponsabilità della potenza sempre dura che stana e ferma la ferrea vertigine della necessità. Al "nessuno è giusto, tutto è giustificabile" dell'una parte, l' altra risponde con "uno solo e giusto ed è giustificabile". Sin qui sembrerebbe che Calderón sia escluso dall' ambito della tragedia. Ma l'A. segue Camus fino all'estremo punto di arrivo del suo discorso; l'unica tragedia cristiana della storia e quella del grido di Gesù: "Dio mio, perché mi hai abbandonato?". II dubbio innerva il grido e consacra l'ambiguità di una situazione tragica, l'immobilità forsennata, l'insolubile contrasto tra un'istanza di senso e l'ineluttabilità della situazione. Segue una precisazione ulteriore di Camus: la messa o atto sacramentale cristiano non e altro che la ritualizzazione o ripetizione del grido di Gesù, ripetuto perché non riesce a espungerlo totalmente; l'ambiguità tragica permane. Con queste premesse il Curatore prosegue l' analisi della lettura camusiana dell'opera di Calderón centrata tutta sul tema della croce, sole di grazia sulla palude adamitica in cui e presente per speculum in aenigmate, ma anche simbolo di una potenza oscura, carico di molti significati fino all'ambiguità. II Curatore mette in luce l'interpretazione che Camus fa dell'opera, confrontando testo e traduzione: "Camus inserisce schegge tragiche nel corpo del dramma di Calderón", schegge della sua visione della tragedia. Camus si è ritrovato allora in qualche modo in quel dramma cristiano, perché non esclude la presenza del tragico, l'immobilità forsennata. Nel caso de La devozione, la verità - ovvero l'ambiguità della grazia - si manifesta soltanto alla fine e nel modo più incomprensibile. II trionfo della grazia mantiene l'ambiguità della verità salvifica che annuncia: alla fine tutto è grazia. L'ambiguità permane; rivolta e assurdo camusiano non vengono eliminati; sono leggibili in questo dramma cristiano, in ultima analisi nel grido soffocato del dubbio fuggitivo di Gesù ripetuto in ogni messa, il vero e unico dramma cristiano. La tragedia che attraversa la storia del mondo non è del tutto espunta. II saggio del Curatore, come si vede, è di ottimo livello.

G. Pirola